mercoledì 8 ottobre 2014

Che fare?


Il 31 ottobre la Fédération des femmes du Québec parteciperà ad una manifestazione contro le politiche di austerità promosse dal governo, in particolare contro la riduzione della spesapubblica, la privatizzazione dei servizi e l'introduzione di ticket per potervi accedere.. A Montréal, il 9 agosto, si è svolta la Marcia delle lesbiche, delle transessuali  e delle femministe contro l'austerità.  Identica manifestazione avevano già promosso le femministe francesi il 9 giugno 2013 (Marche des femmes contre l'austerité)
Il 17 novembre 2013, sempre in Canada, gli "Stati generali dell'azione e dell'analisi femminista", convocati nel 2011, si sono conclusi  con l'adozione di una serie di proposte e di richieste anche di carattere economico tra le quali compaiono l' erogazione  del reddito universale garantito, il  superamento delle disparità salariali tra uomini e donne e della segregazione occupazionale, la rivendicazione dell'universalità ed accessibilità dei servizi pubblici, la redistribuzione della ricchezza, la sperimentazione della socializzazione del lavoro riproduttivo ecc.
Nel 2012 in Francia e in Belgio femministe afferenti a differenti associazioni presentarono una petizione pubblica contro il  Trattato su stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria (il Fiscal Compact)
La Fédération des femmes du Québec  ha sottoscritto, assieme a molte altre organizzazioni, un documento fermamente contrario alla stipula del trattato di libero scambio tra Canada ed Unione Europea (Accordo economico e commerciale globale: AÉCG), i cui negoziati conclusivi sono iniziati ad Ottawa il 26 settembre.
Le femministe hanno partecipato al movimento Occupy Wall Street e  a quello degli Indignados in Spagna.
Potrei elencare altre iniziative, ma credo di aver già dimostrato l'impegno del femminismo  straniero contro il neoliberismo.
E in Italia?
Le elaborazioni teoriche e le analisi del femminismo italiano sull'economia e sul lavoro sono eccellenti, estremamente intelligenti ed acute. Si moltiplicano, poi, i convegni e i seminari sulla crisi, le cui ripercussioni sulle donne sono particolarmente acute a causa della riduzione del welfare state e del maggior tasso di disoccupazione, di inattività e di precarietà femminile. Sarebbe importante diffondere on line gli atti prodotti e gli interventi pronunciati nel corso di questi convegni.
Quella che manca, a mio parere, è, però, l'espressione pubblica, da parte del femminismo italiano, di una posizione condivisa sui provvedimenti del governo Renzi e l'organizzazione di forme di mobilitazione e di resistenza contro il Jobs Act e, in genere, contro le politiche di austerità.
Una simile presa di posizione è possibile o non esistono punti di vista concordanti su queste questioni? Cosa possiamo fare per contrastare da femministe le politiche neoliberiste italiane ed europee? 
Sono domande ingenue, me ne rendo conto, che scaturiscono da un profondo senso di impotenza e da un forte sentimento di inquietudine. Non di meno, mi sembra utile porle.

mercoledì 1 ottobre 2014

Un femminismo ancella del patriarcato, innocuo e depoliticizzato? Esiste? A chi e a cosa serve?




Il concetto di scelta nei blog femministi stranieri

Femminismo come libertà individuale di scelta versus femminismo come movimento di liberazione collettiva delle donne dall'oppressione patriarcale
L'espressione "femminismo ancella del patriarcato" è solo un ossimoro, un paradosso? Si può parlare di depoliticizzazione di una frazione piuttosto consistente del femminismo contemporaneo e la si può connettere alla rilevanza assunta in esso dalla nozione di "libertà di scelta"?
Per rispondere a questi quesiti, vi esporrò il contenuto della bella tesi di dottorato  di Geneviève Szczepanik. In "La mobilisation de la notion de choix dans les discours et débats féministes contemporains: une analyse de blogues féministes (L'impiego della nozione di scelta nei discorsi e nei dibattiti femministi contemporanei: un'analisi di alcuni blog femministi), l'autrice ha esaminato minuziosamente 2246 articoli e relativi commenti pubblicati su 33 blog femministi statunitensi, inglesi, australiani, canadesi e francesi.
La sua analisi le ha consentito di identificare due opposte concezioni del femminismo, inteso rispettivamente come valorizzazione della libertà di scelta o come movimento di liberazione collettiva delle donne.
Nel primo caso le decisioni individuali rappresentano la ragion d'essere e l'emblema del femminismo che ha dischiuso alle donne la possibilità stessa di assumerle, dotandole del potere di autodeterminazione. A tutte è permesso, secondo questa concezione, effettuare scelte affrancate da qualsiasi vincolo economico, politico, sociale, culturale, un'idea che si fonda sul presupposto dell'ormai acquisita uguaglianza fra gli esseri umani. Tutte le decisioni, purché frutto di accurata ponderazione, sono ritenute non solo equivalenti ed indiscutibili, ma schiettamente femministe, anche nel caso in cui comportino l'accettazione dell'ordine patriarcale, dei ruoli tradizionalmente assegnati alle donne, della subordinazione ad un uomo. E' il processo dell'effettuazione di una scelta purchessia, infatti, a costituire l'essenza del femminismo. Il fatto stesso  di scegliere una determinata condizione di vita preserva le donne dallo sfruttamento e dall'oppressione maschile, poiché non esistono realtà oggettive, ma la natura di una situazione viene definita dalla percezione e dalla decisione individuale. La glorificazione di tutte le scelte si estende a quelle che si dispiegano entro un ventaglio molto ristretto di opzioni e implica l'attribuzione alle donne della responsabilità esclusiva di averle assunte. Si ritiene, d'altra parte, che nessuna decisione individuale possa ripercuotersi sulla vita delle altre e perpetuare l'ordine patriarcale. Le scelte vengono infatti totalmente svincolate dal contesto.
Nel secondo caso il femminismo è concepito come un movimento collettivo che mira a liberare le donne dall'oppressione del sistema patriarcale, che, assieme ad altre forme di dominio (capitalismo, razzismo ecc.), mantiene intatta la sua forza e riduce drasticamente la possibilità di compiere scelte libere. Le decisioni delle donne, peraltro, possono contribuire alla riproduzione dei rapporti di potere e delle strutture patriarcali, esercitando in tal caso un impatto negativo sulla vita delle altre. Tali scelte non possono essere definite femministe. Questo giudizio non implica alcuna stigmatizzazione e condanna delle donne che le compiono, ma comporta piuttosto una critica severa delle strutture patriarcali e degli altri rapporti di potere, una critica cui il femminismo non può sottrarsi senza rinunciare al proprio potenziale trasformativo, o, ancor meglio, sovversivo.
 
Quali conseguenze comporta per il femminismo l'enfatizzazione del concetto della libertà di scelta?
Numerose blogger e commentatrici collocano la libertà di scelta al centro delle loro analisi, riproponendola reiteratamente  in tutti i dibattiti.
Diverse studiose (Condit, Snider, McCarver) sostengono che la rilevanza del concetto di scelta derivi dal fatto di rappresentare nelle società occidentali un potente "ideogramma" (ideograph), vocabolo che assume qui il significato di traduzione di un'ideologia in slogan e nozioni in grado di plasmare le convinzioni degli individui, di orientarne e legittimarne le azioni. Per  Virginia McCarver (1) l'ideogramma "scelta" attinge la sua forza  dal principio dell'autodeterminazione, dell'agency, del potere di ogni individuo di forgiare il proprio destino, tanto caro alle società occidentali contemporanee.
La costante valorizzazione delle scelte individuali comporta la depoliticizzazione dell'analisi femminista, ossia la rimozione, dalla riflessione, dei rapporti sociali tra i sessi, a tutto vantaggio di una concezione individualista dell'esistenza delle donne e implica il rifiuto di un femminismo critico che persegua l'obiettivo di abbattere l'ordine patriarcale.   
Nella prospettiva individualista, non si tratta, infatti, di promuovere un impegno strategico volto alla liberazione collettiva delle donne, ma di difendere l'identità e le scelte personali. Numerose blogger e commentatrici rivendicano così la libertà di scegliere pratiche associate all'oppressione e alla sottomissione e di definirle femministe.
Michelle Lazar (2) intravede nelle trasformazioni contemporanee la transizione da un "femminismo del noi" a un "femminismo dell'io", nel quale la ricerca della libertà individuale è assai più rilevante di qualsiasi considerazione politica collettiva e di qualsiasi progetto di trasformazione sociale.
Se l'analisi femminista ha a lungo sottolineato il carattere politico del vissuto personale, mostrando come determinate situazioni siano modellate dalle strutture sociali, i discorsi femministi incentrati sul concetto di scelta si fondano piuttosto sull'idea che il politico sia   personale, ovverosia che ogni scelta sia incontestabilmente femminista se chi la compie si autodefinisce tale.
L'inclinazione ad enfatizzare la propria identità femminista, quali che siano le decisioni effettuate, è stata criticata da bell hooks (3) che ritiene che questa propensione provochi la focalizzazione dell'attenzione sul proprio io -  sulla propria individualità e sulle proprie azioni - anziché sul femminismo e sulle battaglie da intraprendere. Per questo hooks propone di abbandonare l'uso dell'espressione "Sono una femminista"  per affermare piuttosto "Sostengo il femminismo", frase che consente di rimarcare l'obiettivo centrale dell'impegno femminista: la lotta collettiva contro l'oppressione delle donne.
E' interessante constatare come le prospettive femministe incentrate sulla libertà di scelta presentino affinità con la retorica antifemminista descritta da Francine Descarries (4). Tale retorica è imperniata sul mito dell'ormai acquisita parità di genere e dell'avvenuta rimozione delle discriminazioni che renderebbe inutile la prosecuzione della lotta collettiva. Il femminismo inteso come movimento di liberazione delle donne si starebbe spingendo troppo lontano, sarebbe opprimente e normativo, sovradeterminante, negherebbe l'agency delle donne e sarebbe ormai superato: discorsi questi che accomunano antifemminismo e femminismo della scelta.
 
Il feticismo della scelta
Quest'ultimo genera una sorta di feticismo, in senso antropologico e in senso marxista, della decisione individuale che induce a respingere le analisi che tentano di inserirla in un contesto economico, sociale, politico e culturale, per privilegiare una riflessione imperniata sul  suo presunto carattere autodeterminato ed indipendente dalle circostanze.
Ecco dunque la trasmutazione della scelta in un feticcio inteso in senso antropologico come oggetto di culto, sacro e, soprattutto, incontestabile. Interpretata al contempo come la ragion d'essere e il prodotto del femminismo, la scelta basta a conferire legittimità a qualsiasi situazione e ad infirmare la validità di qualsiasi preoccupazione relativa ad una condizione ingiusta. La perentoria convinzione che ogni scelta sia autodeterminata inibisce la riflessione sul grado effettivo di libertà di cui dispongono le donne. Come se la scelta fosse una sorta di amuleto in grado di respingere e di far dileguare magicamente  le costrizioni e i condizionamenti.
Per Philip Wilkin Jenks (5), così come per Sonia Corrêa e Rebecca Lynn Reichmann (6), nel reiterato uso di questo concetto sarebbe ravvisabile anche una manifestazione del feticismo inteso in senso marxista. Per il filosofo di Treviri nel modo di produzione capitalista i rapporti sociali appaiono mimetizzati in rapporti fra le cose. Ciò nasconde l'intima essenza della relazione, perché gli agenti sociali hanno conoscenza immediata solo delle apparenze (ad esempio il prezzo delle merci o il salario quale non meglio identificato equivalente delle prestazioni lavorative)  e non riescono a percepire la realtà che esse celano. Il prodotto del lavoro umano, la merce, assume in apparenza un’esistenza indipendente che occulta i rapporti sociali esistenti tra gli uomini; si comporta cioè come  un "feticcio ideologico" cui si attribuisce una vita autonoma. Così, le merci, da pure e semplici cose, prodotto del lavoro umano, assurgono al ruolo di rapporti sociali, e, nello stesso modo, anche questi ultimi assumono l’aspetto, nello scambio, di rapporti tra cose. In altri termini, gli individui che acquistano un oggetto di consumo non lo percepiscono come il prodotto del lavoro umano e dei rapporti sociali di produzione. Esso sembra esistere senza essere stato fabbricato. Questo è il significato del concetto di feticismo della merce in Marx.
Corrêa e Reichmann si ispirano ad esso per elaborare la nozione di feticismo della scelta. Quest'ultimo induce le donne a percepirsi come consumatrici che possono effettuare scelte senza mediazioni sociali, in modo totalmente libero ed autodeterminato. In questa prospettiva, le decisioni sembrano  essere assunte al di fuori del contesto sociale ed economico che le ha prodotte, ossia sembrano esistere indipendentemente dall'ambiente, dalle strutture che lo plasmano, dalle norme che lo regolano. Il feticismo della scelta, osserva Jenks, cela, cioè, il modo in cui il soggetto è socialmente, politicamente, economicamente e culturalmente costruito.
 
La legittimazione dell'iniquità
Clare Chambers (7) nota che il concetto di scelta ha il potere di tramutare una situazione iniqua in   una condizione apparentemente giusta: affermare che essa rappresenta il prodotto di una libera scelta serve a conferirle, infatti, una parvenza di giustizia. La retorica liberista della scelta può, anzi, consentire di mettere fra parentesi i concetti di disuguaglianza e di ingiustizia. Una discriminazione (ad esempio la ripartizione del lavoro domestico e di cura) che si sorregga su una decisione individuale cessa così di essere considerata ingiusta. In altri termini, il fatto che una diseguaglianza sia considerata il frutto di una scelta della singola donna permette di legittimarne l'esistenza. Di conseguenza, le discriminazioni di genere finiscono per essere concepite come  normali ed inevitabili.
La retorica della scelta produce quindi l'effetto di legittimare l'ordine sociale esistente, di sostenere lo statu quo e di occultare i limiti e i condizionamenti dell'azione.
L'enfatizzazione della libertà individuale di scelta, ovviamente, implica che la donna che assume una decisione sia ritenuta la sola responsabile degli effetti che ne derivano. La commentatrice di un blog analizzato dall'autrice della tesi oggetto dell'articolo, ad esempio, accusa una prostituta di crogiolarsi nel ruolo di vittima passiva e le consiglia semplicemente di "scegliere un altro lavoro" se si sente oppressa. Tale risposta rivela la difficoltà di comprendere che l'oppressione delle donne si dispiega non solo sul piano simbolico, ma anche su quello fisico e materiale, le tre dimensioni indissociabili del patriarcato, e dà l'impressione che per sconfiggerla sia sempre possibile compiere una scelta diversa o sia sufficiente ridefinirla, assegnarle un differente significato. In quest'ottica l'oppressione viene concepita come un fatto meramente individuale, la cui sussistenza è interamente attribuita alla responsabilità della singola donna.
 
Conclusione
Se al concetto di scelta viene dunque conferito un carattere politico, tanto nel discorso sociale che in quello femminista, l'atto di decidere viene  invece depoliticizzato, in quanto pensato come individuale, isolato dal contesto sociale e affrancato da qualsiasi forma di condizionamento. L'enfatizzazione della nozione della libertà di scelta rende ardua la comprensione dell'oppressione delle donne e delle pressioni che subiscono, sia perché non ne riesce ad individuare le basi materiali e fisiche, sia perché implica il rifiuto di un'analisi condotta in termini di rapporti sociali tra i generi.
I discorsi femministi incentrati sul concetto di scelta lasciano intendere che tutte le donne siano  totalmente libere e uguali, ma implicitamente fanno riferimento soltanto  a quelle delle classi sociali abbienti, economicamente, politicamente e socialmente in grado di effettuare scelte che si dispiegano entro un ampio ventaglio di possibili opzioni. In tal modo non sono soltanto le analisi relative ai rapporti tra i generi ad essere oscurate, ma anche le indagini che potrebbero chiarire la dinamica di altri rapporti sociali, nonché la loro intersezione.
Il femminismo così concepito rinuncia, in conclusione, ad ogni potenziale trasformativo e perde la propria originaria carica sovversiva.
Dal momento che, in sostanza, si astiene dalla critica al sistema patriarcale, lo si può effettivamente definire, a mio parere, ancella del patriarcato.
 
Note:
1) Virginia McCarver, « The Rhetoric of Choice and 21st-Century Feminism: Online Conversations About Work, Family, and Sarah Palin ». Women’s Studies in Communication, vol. 34, no 1, 2011, p. 2041.
2), Michelle M. Lazar, « Feminist Critical Discourse Analysis: Articulating a Feminist Discourse Praxis ». Critical Discourse Studies, vol. 4, no 2, 2007 p. 141164.
3) bell hooks, Feminist Theory: From Margin to Center, Boston , South End Press, 1984.
4) Francine Descarries, « L’antiféminisme « ordinaire » ». Recherches féministes, vol. 18, no 2, 2005, p. 137151.
5) Philip Wilkin Jenks, « Foucault, Arendt, and the Norplant Condition in Liberal America: New Reproductive Technologies, Public Bodies, and Disciplinary Liberalism ». Tesi di dottorato, Lexington (Kentucky), University of Kentucky, 2000
6) Sonia Corrêa e Rebecca Lynn Reichmann, Population and Reproductive Rights: Feminist Perspectives from the South. Londra, Zed Books, 1994.
7) Clare Chambers, Sex, Culture, and Justice: The Limits of Choice, Pennsylvania State University Press, 2007.
 
Qui trovate la tesi di dottorato di Geneviève Szczepanik: