Il concetto di scelta nei blog femministi
stranieri
Femminismo come libertà individuale di
scelta versus femminismo come movimento di liberazione collettiva delle donne
dall'oppressione patriarcale
L'espressione "femminismo
ancella del patriarcato" è solo un ossimoro, un paradosso? Si può parlare
di depoliticizzazione di una frazione piuttosto consistente del femminismo
contemporaneo e la si può connettere alla rilevanza assunta in esso dalla
nozione di "libertà di scelta"?
Per rispondere a questi quesiti,
vi esporrò il contenuto della bella tesi di dottorato di Geneviève Szczepanik. In "La mobilisation de la notion de choix dans les discours et débats féministes contemporains: une analyse de blogues féministes" (L'impiego della nozione di scelta nei
discorsi e nei dibattiti femministi contemporanei: un'analisi di alcuni blog
femministi), l'autrice ha esaminato minuziosamente 2246 articoli e relativi
commenti pubblicati su 33 blog femministi statunitensi, inglesi, australiani,
canadesi e francesi.
La sua analisi le ha
consentito di identificare due opposte concezioni del femminismo, inteso
rispettivamente come valorizzazione della libertà di scelta o come movimento di
liberazione collettiva delle donne.
Nel primo caso le decisioni
individuali rappresentano la ragion d'essere e l'emblema del femminismo che ha dischiuso
alle donne la possibilità stessa di assumerle, dotandole del potere di
autodeterminazione. A tutte è permesso, secondo questa concezione, effettuare
scelte affrancate da qualsiasi vincolo economico, politico, sociale, culturale,
un'idea che si fonda sul presupposto dell'ormai acquisita uguaglianza fra gli
esseri umani. Tutte le decisioni, purché frutto di accurata ponderazione, sono
ritenute non solo equivalenti ed indiscutibili, ma schiettamente femministe,
anche nel caso in cui comportino l'accettazione dell'ordine patriarcale, dei
ruoli tradizionalmente assegnati alle donne, della subordinazione ad un uomo.
E' il processo dell'effettuazione di una scelta purchessia, infatti, a
costituire l'essenza del femminismo. Il fatto stesso di scegliere una determinata condizione di
vita preserva le donne dallo sfruttamento e dall'oppressione maschile, poiché non
esistono realtà oggettive, ma la natura di una situazione viene definita dalla
percezione e dalla decisione individuale. La glorificazione di tutte le scelte
si estende a quelle che si dispiegano entro un ventaglio molto ristretto di
opzioni e implica l'attribuzione alle donne della responsabilità esclusiva di
averle assunte. Si ritiene, d'altra parte, che nessuna decisione individuale
possa ripercuotersi sulla vita delle altre e perpetuare l'ordine patriarcale.
Le scelte vengono infatti totalmente svincolate dal contesto.
Nel secondo caso il
femminismo è concepito come un movimento collettivo che mira a liberare le
donne dall'oppressione del sistema patriarcale, che, assieme ad altre forme di
dominio (capitalismo, razzismo ecc.), mantiene intatta la sua forza e riduce
drasticamente la possibilità di compiere scelte libere. Le decisioni delle
donne, peraltro, possono contribuire alla riproduzione dei rapporti di potere e
delle strutture patriarcali, esercitando in tal caso un impatto negativo sulla
vita delle altre. Tali scelte non possono essere definite femministe. Questo
giudizio non implica alcuna stigmatizzazione e condanna delle donne che le
compiono, ma comporta piuttosto una critica severa delle strutture patriarcali
e degli altri rapporti di potere, una critica cui il femminismo non può
sottrarsi senza rinunciare al proprio potenziale trasformativo, o, ancor
meglio, sovversivo.
Quali conseguenze comporta per il
femminismo l'enfatizzazione del concetto della libertà di scelta?
Numerose blogger e
commentatrici collocano la libertà di scelta al centro delle loro analisi,
riproponendola reiteratamente in tutti i
dibattiti.
Diverse studiose (Condit,
Snider, McCarver) sostengono che la rilevanza del concetto di scelta derivi dal
fatto di rappresentare nelle società occidentali un potente "ideogramma"
(ideograph), vocabolo che assume qui il significato di traduzione di
un'ideologia in slogan e nozioni in grado di plasmare le convinzioni degli
individui, di orientarne e legittimarne le azioni. Per Virginia McCarver (1) l'ideogramma
"scelta" attinge la sua forza
dal principio dell'autodeterminazione, dell'agency, del potere di ogni
individuo di forgiare il proprio destino, tanto caro alle società occidentali
contemporanee.
La costante valorizzazione
delle scelte individuali comporta la depoliticizzazione dell'analisi
femminista, ossia la rimozione, dalla riflessione, dei rapporti sociali tra i
sessi, a tutto vantaggio di una concezione individualista dell'esistenza delle
donne e implica il rifiuto di un femminismo critico che persegua l'obiettivo di
abbattere l'ordine patriarcale.
Nella prospettiva
individualista, non si tratta, infatti, di promuovere un impegno strategico
volto alla liberazione collettiva delle donne, ma di difendere l'identità e le
scelte personali. Numerose blogger e commentatrici rivendicano così la libertà
di scegliere pratiche associate all'oppressione e alla sottomissione e di
definirle femministe.
Michelle Lazar (2) intravede
nelle trasformazioni contemporanee la transizione da un "femminismo del
noi" a un "femminismo dell'io", nel quale la ricerca della
libertà individuale è assai più rilevante di qualsiasi considerazione politica
collettiva e di qualsiasi progetto di trasformazione sociale.
Se l'analisi femminista ha a
lungo sottolineato il carattere politico del vissuto personale, mostrando come
determinate situazioni siano modellate dalle strutture sociali, i discorsi
femministi incentrati sul concetto di scelta si fondano piuttosto sull'idea che
il politico sia personale, ovverosia
che ogni scelta sia incontestabilmente femminista se chi la compie si
autodefinisce tale.
L'inclinazione ad enfatizzare
la propria identità femminista, quali che siano le decisioni effettuate, è
stata criticata da bell hooks (3) che ritiene che questa propensione provochi
la focalizzazione dell'attenzione sul proprio io - sulla propria individualità e sulle proprie
azioni - anziché sul femminismo e sulle battaglie da intraprendere. Per questo
hooks propone di abbandonare l'uso dell'espressione "Sono una femminista" per affermare piuttosto "Sostengo il
femminismo", frase che consente di rimarcare l'obiettivo centrale
dell'impegno femminista: la lotta collettiva contro l'oppressione delle donne.
E' interessante constatare
come le prospettive femministe incentrate sulla libertà di scelta presentino
affinità con la retorica antifemminista descritta da Francine Descarries (4). Tale
retorica è imperniata sul mito dell'ormai acquisita parità di genere e
dell'avvenuta rimozione delle discriminazioni che renderebbe inutile la
prosecuzione della lotta collettiva. Il femminismo inteso come movimento di
liberazione delle donne si starebbe spingendo troppo lontano, sarebbe
opprimente e normativo, sovradeterminante, negherebbe l'agency delle donne e
sarebbe ormai superato: discorsi questi che accomunano antifemminismo e
femminismo della scelta.
Il feticismo della scelta
Quest'ultimo genera una sorta di
feticismo, in senso antropologico e in senso marxista, della decisione
individuale che induce a respingere le analisi che tentano di inserirla in un
contesto economico, sociale, politico e culturale, per privilegiare una
riflessione imperniata sul suo presunto
carattere autodeterminato ed indipendente dalle circostanze.
Ecco dunque la trasmutazione
della scelta in un feticcio inteso in senso antropologico come oggetto di culto,
sacro e, soprattutto, incontestabile. Interpretata al contempo come la ragion
d'essere e il prodotto del femminismo, la scelta basta a conferire legittimità
a qualsiasi situazione e ad infirmare la validità di qualsiasi
preoccupazione relativa ad una condizione ingiusta. La perentoria convinzione
che ogni scelta sia autodeterminata inibisce la riflessione sul grado effettivo
di libertà di cui dispongono le donne. Come se la scelta fosse una sorta di
amuleto in grado di respingere e di far dileguare magicamente le costrizioni e i condizionamenti.
Per Philip Wilkin
Jenks (5), così come per Sonia Corrêa e Rebecca Lynn Reichmann (6), nel
reiterato uso di questo concetto sarebbe ravvisabile anche una manifestazione
del feticismo inteso in senso marxista. Per il filosofo di Treviri nel modo di
produzione capitalista i rapporti sociali appaiono mimetizzati in rapporti fra
le cose. Ciò nasconde l'intima essenza della relazione, perché gli agenti
sociali hanno conoscenza immediata solo delle apparenze (ad esempio il prezzo
delle merci o il salario quale non meglio identificato equivalente delle
prestazioni lavorative) e non riescono a
percepire la realtà che esse celano. Il prodotto del lavoro umano, la merce,
assume in apparenza un’esistenza indipendente che occulta i rapporti sociali
esistenti tra gli uomini; si comporta cioè come un "feticcio ideologico" cui si
attribuisce una vita autonoma. Così, le merci, da pure e semplici cose,
prodotto del lavoro umano, assurgono al ruolo di rapporti sociali, e, nello
stesso modo, anche questi ultimi assumono l’aspetto, nello scambio, di rapporti
tra cose. In altri termini, gli individui che acquistano un oggetto di consumo
non lo percepiscono come il prodotto del lavoro umano e dei rapporti sociali di
produzione. Esso sembra esistere senza essere stato fabbricato. Questo è il
significato del concetto di feticismo della merce in Marx.
Corrêa e Reichmann si
ispirano ad esso per elaborare la nozione di feticismo della scelta.
Quest'ultimo induce le donne a percepirsi come consumatrici che possono
effettuare scelte senza mediazioni sociali, in modo totalmente libero ed
autodeterminato. In questa prospettiva, le decisioni sembrano essere assunte al di fuori del contesto
sociale ed economico che le ha prodotte, ossia sembrano esistere indipendentemente
dall'ambiente, dalle strutture che lo plasmano, dalle norme che lo regolano. Il
feticismo della scelta, osserva Jenks, cela, cioè, il modo in cui il soggetto è
socialmente, politicamente, economicamente e culturalmente costruito.
La legittimazione dell'iniquità
Clare Chambers (7) nota che
il concetto di scelta ha il potere di tramutare una situazione iniqua in una condizione
apparentemente giusta: affermare che essa rappresenta il prodotto di una libera
scelta serve a conferirle, infatti, una parvenza di giustizia. La retorica
liberista della scelta può, anzi, consentire di mettere fra parentesi i
concetti di disuguaglianza e di ingiustizia. Una discriminazione (ad esempio la
ripartizione del lavoro domestico e di cura) che si sorregga su una decisione
individuale cessa così di essere considerata ingiusta. In altri termini, il
fatto che una diseguaglianza sia considerata il frutto di una scelta della
singola donna permette di legittimarne l'esistenza. Di conseguenza, le
discriminazioni di genere finiscono per essere concepite come normali ed inevitabili.
La retorica della scelta
produce quindi l'effetto di legittimare l'ordine sociale esistente, di
sostenere lo statu quo e di occultare i limiti e i condizionamenti dell'azione.
L'enfatizzazione della
libertà individuale di scelta, ovviamente, implica che la donna che assume una decisione sia
ritenuta la sola responsabile degli effetti che ne derivano. La commentatrice
di un blog analizzato dall'autrice della tesi oggetto dell'articolo, ad
esempio, accusa una prostituta di crogiolarsi nel ruolo di vittima passiva e le
consiglia semplicemente di "scegliere un altro lavoro" se si sente
oppressa. Tale risposta rivela la difficoltà di comprendere che l'oppressione
delle donne si dispiega non solo sul piano simbolico, ma anche su quello fisico
e materiale, le tre dimensioni indissociabili del patriarcato, e dà l'impressione
che per sconfiggerla sia sempre possibile compiere una scelta diversa o sia
sufficiente ridefinirla, assegnarle un differente significato. In quest'ottica
l'oppressione viene concepita come un fatto meramente individuale, la cui
sussistenza è interamente attribuita alla responsabilità della singola donna.
Conclusione
Se al concetto di scelta
viene dunque conferito un carattere politico, tanto nel discorso sociale che in
quello femminista, l'atto di decidere viene invece depoliticizzato, in quanto pensato come
individuale, isolato dal contesto sociale e affrancato da qualsiasi forma di
condizionamento. L'enfatizzazione della nozione della libertà di scelta rende
ardua la comprensione dell'oppressione delle donne e delle pressioni che
subiscono, sia perché non ne riesce ad individuare le basi materiali e fisiche,
sia perché implica il rifiuto di un'analisi condotta in termini di rapporti
sociali tra i generi.
I discorsi femministi
incentrati sul concetto di scelta lasciano intendere che tutte le donne
siano totalmente libere e uguali, ma
implicitamente fanno riferimento soltanto
a quelle delle classi sociali abbienti, economicamente, politicamente e
socialmente in grado di effettuare scelte che si dispiegano entro un ampio
ventaglio di possibili opzioni. In tal modo non sono soltanto le analisi
relative ai rapporti tra i generi ad essere oscurate, ma anche le indagini che
potrebbero chiarire la dinamica di altri rapporti sociali, nonché la loro
intersezione.
Il femminismo così concepito
rinuncia, in conclusione, ad ogni potenziale trasformativo e perde la propria
originaria carica sovversiva.
Dal momento che, in sostanza, si astiene dalla critica al sistema patriarcale, lo si può effettivamente definire, a mio parere, ancella del patriarcato.
Note:
1) Virginia McCarver, « The Rhetoric of Choice and 21st-Century Feminism:
Online Conversations About Work, Family, and Sarah Palin ». Women’s Studies
in Communication, vol. 34, no 1, 2011, p. 20‑41.
2), Michelle M. Lazar, « Feminist Critical Discourse Analysis:
Articulating a Feminist Discourse Praxis ». Critical Discourse Studies,
vol. 4, no 2, 2007 p. 141‑164.
3) bell hooks, Feminist Theory: From Margin to Center, Boston , South
End Press, 1984.
4) Francine Descarries, « L’antiféminisme « ordinaire » ». Recherches
féministes, vol. 18, no 2, 2005, p. 137‑151.
5) Philip Wilkin Jenks, «
Foucault, Arendt, and the Norplant Condition in Liberal America: New
Reproductive Technologies, Public Bodies, and Disciplinary Liberalism ». Tesi
di dottorato, Lexington (Kentucky), University of Kentucky, 2000
6) Sonia Corrêa e Rebecca Lynn Reichmann, Population and Reproductive
Rights: Feminist Perspectives from the South. Londra, Zed Books, 1994.
7) Clare Chambers, Sex, Culture, and Justice: The Limits of Choice,
Pennsylvania State University Press, 2007.
Qui trovate la tesi di dottorato
di Geneviève Szczepanik:
io credo nello scommettere sulla capacità di uomini e donne di compiere scelte (felici o meno, giuste o discutibili) di compiere scelte su di sè, sulla loro vita, sul loro corpo eccetera e assumersene la responsabilità. Non ignoro le condizioni economiche e sociali ma se ciò mi rende un amico del capitalismo individualista me ne farò una ragione
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