Genealogie del presente, pubblicato da Mimesis, è un lessico politico concepito, come chiarisce la magnifica
introduzione di Lorenzo Coccoli, Marco Tabacchini e Federico Zappino, come
strumento di lotta, oltre che di decodificazione
della realtà, e come manifestazione di un pensiero il cui potenziale
trasformativo si traduca nel dissolvimento delle regole consolidate di comportamento
e nell'apertura di nuovi ambiti di conflitto e di inediti orizzonti di senso.
Per questo il libro si propone di evidenziare, nell'esposizione dei concetti,
di cui traccia la genealogia, intesa in senso foucaultiano, ciò che si oppone
all'ordine del discorso e che deborda dalla semantica ufficiale, sia allo scopo
di disvelare i rapporti di potere e la retorica del dominio che presiede
all'uso di determinate parole sia al fine, contrario, di estrarre da certi
lemmi significati alternativi, conflittuali e sovversivi, che servano a
performare una realtà radicalmente altra nella quale possa svolgersi una vita
buona.
Non è difficile individuare
alcuni caratteri comuni a tutti i saggi che compongono il libro: l'esaltazione
della dimensione conflittuale e della carica
critica dei concetti politici
analizzati, occultata e demonizzata nel discorso egemonizzato dal potere economico
e politico, cui siamo invitati a sottrarci, il disvelamento della retorica
della dominazione che presiede all'uso di certi vocaboli e alla selezione
strategica dei loro significati meglio corrispondenti al mantenimento dello
status quo, la valorizzazione della prassi come costitutiva di realtà (il
movimento, ad esempio) e nozioni (l'uguaglianza), la celebrazione della
mobilitazione permanente e della resistenza, concepita come fuga dalla cattura
dei dispositivi di comando.
Genealogie del presente, infatti,
come dichiarano gli autori dell'introduzione, si prefigge l'obiettivo di spostare l'accento dalla dimensione
semantica delle parole a quella performativa al fine di evitare l'ipostatizzazione
dei concetti e, al contempo, di dispiegarne le potenzialità trasformative.
Come acutamente rilevato da
Anna Simone, questo
lessico non include i lemmi "capitalismo" e "neoliberismo"
perché si focalizza sui loro effetti e su alcune forme di resistenza (Bene comune, Movimento e Eguaglianza). A proposito di queste
ultime, dal libro è stata esclusa anche la voce "lotta di classe" per
la sua forclusione dal discorso pubblico, ci spiegano gli autori
dell'introduzione, e per il probabile riassorbimento nei lemmi Beni comuni e Movimento. Tuttavia, come
ho già osservato, il conflitto affiora e viene esaltato nella trattazione della
maggior parte delle voci.
L'esposizione dei concetti di
crisi, costituzione, democrazia,
eccellenza, governabilità, legalità, popolo, povertà, precarietà, responsabilità,
sacrificio, società, trasparenza consente di illustrare gli effetti del
neoliberismo. Crisi è, ovviamente, termine ricorrente nella trattazione di
queste voci e viene giustamente
interpretata, sulla scia di Marx ed Engels, come la normale modalità di
funzionamento ciclico del modo di produzione capitalista che, nella sua forma
neoliberista, osserva Federico Zappino, dà origine ad una soggettività
produttiva, la cui vita è interamente assorbita dal lavoro, e debitrice,
inserita in molteplici relazioni debitore/creditore, la cui perpetuazione è
connessa all'incorporazione melanconica di un paralizzante senso del peccato,
della colpa e del dovere, che affonda le sue radici nella morale cristiana.
Zappino individua una via di
fuga a questa opprimente situazione nella riscoperta di un significato diverso
di crisi: quello, attinto dalla tradizione storiografica e filosofica greca, di
giudizio, ossia di valutazione critica, la cui applicazione potrà dischiudere
prospettive inedite e condurci a rifiutare di concorrere alla
perpetuazione di soggettività produttive
e debitrici.
Prospettive inedite Adalgiso
Amendola intravede nella crisi della costituzione, strumento la cui funzione
nell'età moderna è consistita nell'operare un'impossibile mediazione fra il
movimento centrifugo dei soggetti e la costruzione unitaria dello Stato.
L'attuale processo di decostituzionalizzazione
lascia aperto il campo ad esperimenti istituenti che si collochino al di
là della dicotomia stato/società civile, pubblico/privato, producendo la
progressiva emersione di un nuovo "diritto del comune". Per Ugo
Mattei e Michele Spanò, invece, la forma costituzionale rimane l'unico
dispositivo ancor oggi disponibile per concepire e attuare la trasformazione
della realtà. Dalla crisi della Costituzione si esce, osservano gli autori,
attraverso un nuovo processo costituente, europeo e postcoloniale, che fondi il
"diritto del comune".
Ai beni comuni è consacrato
il saggio di Maria Rosaria Marella che
li distingue dal bene comune inteso come ciò che giova a una comunità
pacificata, omogenea e coesa. I beni comuni, invece, risorse sottratte allo
spossessamento del comune, gestite in modo partecipato da una determinata
collettività, rappresentano una potenziale critica al sistema e incorporano una
dimensione conflittuale come qualsiasi reale istanza egalitaria.
Anche Cristina Morini, nel
suo saggio sulla precarietà, invita a superare la logica del welfare e del
workfare per istituire il commonfare, fondato appunto sulla cooperazione
sociale nella gestione dei beni comuni (acqua, aria, cibo, ambiente,
conoscenza, linguaggio, socialità). L'autrice, che giustamente concepisce la precarietà come
condizione al contempo lavorativa ed esistenziale, strutturale, disciplinare e
generalizzata, individua la possibilità di uscire da questa situazione nel
conflitto contro il capitale, ossia nella riappropriazione del reddito da
realizzare attraverso l'insolvenza, l'introduzione di un reddito di esistenza,
la condivisione di saperi (eliminazione della proprietà intellettuale) e nella
sperimentazione di forme di autorganizzazione e di autogestione. Sono d'accordo
con lei, ovviamente.
Potrei proseguire la
"recensione" esponendo succintamente il contenuto degli altri saggi,
altrettanto importanti e interessanti, che compongono il lessico, ma mi rendo
conto che le mie sintesi sortiscono l' effetto di banalizzare e, al contempo,
di rendere poco comprensibili contributi densi, complessi, articolati e di
privare lettrici e lettori del piacere della scoperta. Questi saggi,
espressione del pensiero critico, disegnano, infatti, paesaggi e orizzonti
inediti, attraverso l'impiego di categorie di analisi diverse dalle solite,
producendo nei lettori una sensazione di benefico spaesamento, di
disancoramento dalle ortodossie e di slancio verso un mondo nuovo. Ciò configura
Genealogie del presente come prezioso
strumento di trasformazione della realtà. Per questo vi consiglio caldamente di leggerlo.
N.B E' probabile che dedichi
ancora almeno un articolo a qualcuno dei saggi contenuti in questo libro.
Qui trovate una parte
dell'introduzione.
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