Pratiques genrées et violences entre pairs (Pratiche genderizzate e
violenze tra i pari)
è un corposo rapporto (588 pagine), composto da numerosi saggi che
sarebbe interessante analizzare distintamente, sulla presenza delle violenze di
genere nella scuola secondaria francese di primo e di secondo grado. La ricerca
illustra le dinamiche di riproduzione negli istituti di istruzione delle
diseguaglianze tra i sessi, le modalità di attribuzione ad essi di ruoli
rigidamente differenziati, l'onnipresenza e l'incontrastata supremazia dell'ordine
simbolico e materiale patriarcale e gli effetti del controllo esercitato dagli studenti
sulla condotta sessuale delle compagne di classe. La scuola si prospetta essere
una delle principali agenzie di socializzazione alle norme di genere e di
riproduzione delle gerarchie ed è in questo contesto che si inseriscono le
violenze tra pari.
Il rapporto francese, le cui considerazioni e
conclusioni si possono agevolmente trasporre alla situazione italiana, è stato elaborato
sulla base delle interviste a 39 dirigenti scolastici e, soprattutto, sulla base
dell'osservazione etnografica, durata un anno, delle interazioni tra studenti e
studentesse e fra alunni e docenti in cinque istituti di istruzione: una scuola
secondaria di primo grado (scuola media, collège in francese) situata in un
quartiere periferico povero, un'altra e un liceo privato collocati in centro
città, frequentati da alunni di diversa estrazione sociale, un istituto professionale
per operatori meccanici posto in un quartiere decentrato definito dalle
autorità "difficile" e infine un liceo pubblico d'élite.
Violenze, gerarchie e norme
di genere
Le violenze, presenti in
tutti gli istituti scolastici sia pure con frequenza e modalità differenti,
assumono un marcato carattere di genere e si articolano in un ampio ventaglio
di atti di crescente gravità: insulti sessisti, palpeggiamenti, aggressioni
fisiche, stupri, questi ultimi, per fortuna, molto rari. Si tratta di violenze
finalizzate all'appropriazione del corpo delle ragazze e al controllo della
loro sessualità.
Le ingiurie, diffusissime, prendono
di mira i caratteri solitamente collegati alla femminilità, sia quando sono
dirette contro alcune ragazze, designate "puttane" tanto dai compagni
quanto dalle compagne di classe, che quando sono rivolte a certi ragazzi, definiti,
con tono sprezzante, "froci" (pédés), in quanto percepiti come "effeminati". L'omofobia
si configura, cioè, come una sorta di epifenomeno dell'inferiorizzazione del
genere femminile e degli attributi cui è tradizionalmente associato.
La categoria del
"genere" costituisce il modello di relazioni sociali fra i sessi incentrate
sulla valorizzazione della mascolinità egemonica. Il sistema patriarcale, che
dispone uomini e donne in ordine gerarchico, esalta il machismo e impone la
norma eterosessuale, viene riprodotto a scuola non solo nelle interazioni fra gli alunni, ma
anche nelle relazioni tra studenti ed insegnanti.
In tre degli istituti
scolastici oggetto della ricerca (quello professionale e le due scuole
secondarie di primo grado) la violenza fisica si manifesta quotidianamente. In
essi i ragazzi occupano il centro della scena e i loro rapporti si conformano
al modello della mascolinità egemonica, fondato sulla sfida, sul disprezzo del
pericolo, del dolore proprio e di quello altrui e sulla "parata
virile" che consiste nel recitare la parte dei duri in un contesto marcato
dal dominio e dalla rivalità per conquistare la leadership.
Un altro modo di affermare atteggiamenti
machi consiste nell'inferiorizzare gli altri attraverso l'adozione di posture
corporee che denotano disprezzo e attraverso l'impiego di un linguaggio ingiurioso. Per questo motivo le
ragazze vengono ridotte ad oggetti sessuali attraverso il ricorso ad epiteti
sessisti. Gli altri studenti possono essere inferiorizzati anche attraverso l'enfatizzazione
dell'appartenenza dei leader ad una classe sociale superiore o attraverso la
manifestazione di atteggiamenti razzisti.
Negli istituti scolastici
dove vengono commessi quasi ogni giorno atti di violenza, insegnanti e studenti
sono impegnati in una costante attività di interpretazione, poiché lo stesso
gesto, la stessa parola, a seconda del contesto, del rapporto tra i
protagonisti, dell'intonazione, può configurarsi come aggressione o, al
contrario, esprimere affetto ed intimità. Questa perenne necessità di
decodificare ogni vocabolo e ogni atto produce una palpabile e costante
tensione. Nessun'azione è neutra e trasparente (dare la precedenza e lasciar
passare qualcuno nei corridoi, guardare qualcuno negli occhi). Ogni interazione
costituisce, infatti, una manifestazione di dominio o di subordinazione che si
iscrive in un ordine gerarchico instabile nel quale la posizione che ciascuno
occupa nel gruppo, sempre passibile di avanzamento o di declassamento, è
negoziata in permanenza.
Le violenze fisiche tra
studentesse sono molto rare, ma i loro rapporti, come quelli fra studenti, sono
regolati dal principio gerarchico. La differenza rispetto ai ragazzi consiste
nel fatto che la loro collocazione gerarchica non dipende soltanto dall'audacia
e dalla risolutezza, ma anche dalle valutazioni ed autovalutazioni costanti
dell'abbigliamento, dell'acconciatura, del trucco. Le studentesse cercano
incessantemente e con un'implacabile severità di esercitare un fascino seduttivo
che non oltrepassi però un sottile limite. Il rischio è, infatti, quello di
essere giudicate da compagni e compagne "puttane", anziché
"sexy". La pratica della seduzione, conforme ai ruoli di genere e
alle aspettative sociali, espresse anche dai dirigenti scolastici che operano
una distinzione tra le ragazze fondata sulla loro presunta o reale
disponibilità sessuale, mira a conquistare l'apprezzamento dei ragazzi e sfocia
in una rivalità fra studentesse, che impedisce loro di essere solidali e di costituirsi
come gruppo coeso.
Le violenze fisiche contro le
ragazze perseguono l'obiettivo di rimetterle al loro posto. Se il gruppo degli
studenti, così come quello delle studentesse, presenta infatti al proprio
interno un'organizzazione gerarchica, resta il fatto che il primo, nel suo
complesso, esercita e pretende di mantenere il dominio sul secondo. Quando una
ragazza tenta di distinguersi e di imporsi su uno o più ragazzi, viene considerata
troppo audace e la si richiama immediatamente all'ordine. "Pourquoi tu
fais ta belle?", le si chiede con aria di rimprovero. "Faire sa
belle" significa attribuirsi un'importanza e un potere superiore a quello
che spetta ad una ragazza. Si tratta di
un comportamento valutato come grave trasgressione dell'ordine naturale delle
cose. Solo eccezionalmente una ragazza riesce ad emergere e ad imporsi sul
gruppo dei ragazzi. Ciò avviene quando è in grado di assumere attributi ipervirili
e, contemporaneamente, di apparire particolarmente sexy, ma non fino al punto
da poter essere giudicata una "poco di buono".
Nell'istituto professionale
collocato in un quartiere "difficile" il principio gerarchico viene
applicato con particolare rigidità, quasi che in esso gli studenti
individuassero la possibilità di un riscatto e l'occasione per vedersi
riconosciuto quel valore sociale e narcisistico che è loro negato dall'ambiente
circostante che offre solo precarietà e disoccupazione. Gli insegnanti
dell'istituto adottano gli stessi comportamenti e codici espressivi degli
studenti: gridano per farsi ascoltare, urtano gli alunni...
Negli istituti scolastici nei
quali regna un'atmosfera più tranquilla, meno caotica, la violenza di genere assume altre forme, in
particolare nel liceo d'élite. Qui non si odono insulti sessisti. Le ingiurie
sono formulate secondo un registro ironico-sarcastico e attengono agli
insuccessi scolastici e sociali. Gli studenti e le studentesse si valutano
reciprocamente in base al criterio dell'appartenenza o meno alla classe sociale
dominante, che si manifesta anche nella distinzione, nella raffinatezza dei gusti e nella
conformità a determinati canoni estetici, economici, intellettuali e
comportamentali. La sanzione peggiore consiste nell'esclusione dal gruppo e nell'invisibilizzazione
degli alunni meno abbienti e privi di stile.
Poiché la scuola rappresenta
un universo chiuso ed è frequentata da adolescenti che stanno definendo la
propria identità, vi si osserva con maggior chiarezza il funzionamento del
sistema eteronormativo e l'assegnazione di ruoli, funzioni, comportamenti
diversi a seconda del genere cui si appartiene. Negli istituti i cui iscritti
appartengono ai ceti popolari vige un
modello di virilità particolarmente costrittivo e un ideale di femminilità caratterizzato
da tre ingiunzioni contraddittorie: essere caste, morigerate per godere di
buona reputazione, essere sexy, ipersessualizzate, seducenti e,
contemporaneamente, saper evitare lo stigma della "puttana".
Nelle scuole frequentate da
studenti appartenenti alle classi dominanti, il sistema eteronormativo opera in
modo più discreto. Esso, in ogni caso, reprime severamente tutto ciò che turba
il binarismo. Di qui la diffusione nelle scuole dell'omofobia e della
transfobia, nonché la stigmatizzazione dei tratti ritenuti femminili presenti
nei ragazzi e di quelli maschili presenti nelle ragazze.
Le lezioni
Il clima negli istituti
scolastici oggetto della ricerca è ansiogeno.
Meno della metà delle lezioni
si svolgono in un'atmosfera centrata sul lavoro, le altre si snodano fra
l'indifferenza, la noia e, più raramente, il brusio che può trasformarsi in
caos.
Il comportamento degli alunni
esprime rifiuto, aperto conflitto, ostilità nei confronti degli insegnanti e
dell'istituzione scolastica.
Gli studenti devono
affrontare due contraddizioni. Da un lato, per concentrarsi ed ascoltare la
lezione, devono isolarsi dal gruppo e ciò pare loro impossibile: avvertono,
infatti, l'urgenza di dirsi cose che ritengono importanti e che consentono loro
di tessere e mantenere relazioni significative ed ottenere il riconoscimento
dei compagni di classe. Dall'altro lato, un coinvolgimento eccessivo espone al
rischio di perdere la faccia e di subire un declassamento, sia perché si
possono commettere errori nell'esecuzione dei compiti assegnati, sia perché,
mostrando interesse, si dà prova di sottomissione all'insegnante e
all'istituzione scolastica (L''ideale è il conseguimento di risultati
brillanti, dando l'impressione di non impegnarsi troppo). La questione si
complica per le ragazze che, se palesano interesse e partecipazione e ottengono
buoni voti, vengono accusate di mettersi in mostra.
Nel caso in cui le lezioni si
svolgano in un'atmosfera chiassosa, molti professori non si accorgono o fingono
di non accorgersi delle trasgressioni studentesche delle norme scolastiche,
comportamento che viene interpretato dagli alunni come una forma di
subordinazione, come una dichiarazione di impotenza e di inferiorità. Questi
insegnanti oscillano da una postura all'altra, assumendo talvolta un
atteggiamento amichevole, bonario, confidenziale, rivendicando talaltra
un'autorità che non viene loro riconosciuta.
Riescono a catturare
l'attenzione degli alunni o, quanto meno a ottenere il silenzio, invece, i
docenti che adottano due differenti modalità di comportamento. Alcuni si
mostrano credibili ed autorevoli mostrando per le discipline che insegnano una
passione e un coinvolgimento che colpisce gli studenti, suscitando entusiasmo
in almeno alcuni di loro. Altri, invece, si inseriscono nell'ordine gerarchico,
occupando la posizione più elevata e affermano il loro potere adottando un
atteggiamento autoritario.
In sostanza, le interazioni
tra insegnanti e studenti riproducono e confermano, agli occhi di questi
ultimi, la validità e la solidità del sistema gerarchico che regola le
relazioni tra pari.
Gli adulti e l'eteronormatività
L'istituzione scolastica è una delle principali agenzie di
socializzazione alle norme di genere trasmesse, spesso inconsapevolmente, dal
personale educativo. I dirigenti scolastici intervistati dalle autrici della
ricerca ritengono ad esempio che una dominazione maschile discreta e
l'accettazione da parte delle ragazze di un ruolo complementare, se non
ancillare, nei confronti dei ragazzi
garantisca il mantenimento della pace all'interno dell'istituto. Inoltre, attribuiscono
generalmente gli atti di violenza alle condizioni sociali e culturali degli alunni, piuttosto che ai
rapporti di potere che regnano fra i generi.
Il personale educativo nel
suo complesso, sia pure inconsapevolmente, concorre al mantenimento dei
comportamenti machisti degli studenti attraverso la banalizzazione e la
minimizzazione costante delle violenze e delle costrizioni da essi esercitate
sulle ragazze. Gli insegnanti, inoltre, condividono gli stessi stereotipi di
genere degli studenti e, in particolare, attribuiscono alle studentesse la
responsabilità di eccitare, sedurre, provocare i compagni e, dunque,
indirettamente, anche quella di cagionare le violenze che subiscono.
Qualche consiglio
Si tratta, dunque, in primo
luogo, per i docenti di acquisire consapevolezza delle dinamiche di genere che
si innescano a scuola e di porre fine alla tendenza a sminuire l'importanza
delle violenze. E' necessario che gli studenti ne comprendano la gravità, la
crudeltà e l'illegittimità.
La sezione conclusiva della
ricerca offre interessanti consigli ai docenti. Mi limiterò a riportare una
considerazione di Annie Léchenet. Questa insegnante, formatrice e ricercatrice
si chiede se sia la costruzione della mascolinità ad ingiungere ai ragazzi di
imporre il proprio dominio o se non sia, al contrario, l'esistenza della
gerarchia ad indurli ad utilizzare uno
dei più efficaci strumenti di dominio che esista: il genere, che costituirebbe
dunque una sorta di epifenomeno. In quest'ultimo caso converrebbe configurare
la scuola come uno spazio che educhi non solo al superamento degli stereotipi
di genere, ma anche all'abbattimento delle gerarchie, all'annullamento della
preoccupazione di esercitare il dominio.
Quanto ai preconcetti
connessi al genere, la scuola dovrebbe favorire l'espressione di comportamenti
femminili attivi, determinati, liberi e disincentivare la manifestazione da
parte dei ragazzi di atteggiamenti da machi che negano la paura, le emozioni e il
bisogno degli altri e che individuano nella violenza l'unica modalità di risoluzione
dei conflitti.
Per quanto riguarda, invece, il
superamento del modello sociale fondato sulla gerarchia, Annie Léchenet propone
di conformare l'insegnamento ai principi
della pedagogia libertaria, che favorisce la partecipazione attiva ed
egalitaria di tutti gli studenti e le studentesse al processo educativo. Si
dovrebbe facilitare la presa di parola di tutti gli alunni e creare un clima
propizio all'apprendimento imperniato su un modello cooperativo, anziché
competitivo.
Si tratta - va detto -, riferendoci
a quel che avviene in Italia, di pratiche educative marcatamente
anticonformiste e controcorrente non solo rispetto a quelle adottate
generalmente nelle scuole, ma soprattutto rispetto al modello di istruzione
delineato da Matteo Renzi che si propone di "formare soggettività
flessibili conformi alle regole del mercato" e, dunque, competitive e di
legittimare le diseguaglianze, anziché combatterle, razionalizzando
l'esclusione, come osserva giustamente Valeria Pinto, docente di filosofia teoretica all'Università Federico II di Napoli
Si tratta inoltre, quanto a
stereotipi di genere, di modelli pedagogici decisamente antitetici a quelli
proposti a Trento dalla "Scuola delle principesse"(Esiste pure l'Accademia per la formazione delle suddette). Le aspiranti
principesse saranno educate alle buone maniere nel servire e sorbire il té (vedi il corso di
merenda chic) e nel salire e scendere le scale, apprenderanno la corretta ed
elegante dizione, la danza, il canto in italiano e addirittura in inglese, la
calligrafia. (Non sono previste, invece, lezioni di digitazione principesca
sulle pink tastiere di pink pc, forse perché troppo banali ). Al termine dei
corsi le bambine non avranno appreso nulla di particolarmente utile ad una
prosaica esistenza, per usare le parole ironiche della fondatrice della scuola,
ma sapranno servire il té con una grazia impareggiabile: competenza davvero indispensabile
e, soprattutto, giovevole al superamento degli stereotipi di genere.
sfida, sprezzo del pericolo, ma anche seduzione e sensualità non sono cose sbagliate di per sè (nè esclusive di un genere) sebbene più indicate per persone adulte anche quando vissute tra coetanei adolescenti non sono cose di per sè negative e maschiliste dipende da come sono vissute..se ad esempio sono usate per dividere le ragazze tra "puttane" e "non puttane" ecco questo è da evitare ma spetterebbe agli insegnanti intervenire.
RispondiEliminaQuanto alla mascolinità e alla femminilità si possono vivere in tante maniere più o meno diffuse statisticamente ma tutte legittime, fa parte della nostra personalità. Anche il ragazzo più o meno apparentemente "macho" e aggressivo è capace di esprimere sentimenti ed emozioni, anche la ragazza più "femminile" o "sexy" (qualunque sia il senso che date a queste parole) possiede forza e determinazione: gli educatori devono aiutarli a tirare fuori e gestire questi lati della loro personalità senza reprimere o negare gli altri lati. Aggressività e mutezza fanno parte dell'umano
ma poi chi sono le ragazze "ipervirili"? Quelle molto aggressive, forti? Ma l'aggressività può essere anche femminile, quanto all'essere sexy o meno (qualunque cosa si intenda) è una loro scelta. aggressività, competizione non vuol dire necessariamente mascolinità
Eliminamutezza=mitezza
Intendo dire che entrambi i generi si conformano alle qualità loro tradizionalmente attribuite dall'ordine simbolico patriarcale. Le pochissime ragazze cui è consentito emergere devono enfatizzare la propria femminilità mostrandosi sexy e al contempo devono assumere caratteri da macho. Il ragazzo macho, duro non manifesta apertamente i propri sentimenti.
RispondiEliminala questione è molto più complessa di così, sopratutto oggi. comportarsi in un modo piuttosto che in un altro non è solo questione di conformismo.
Eliminacontinuo a pensare che l'aggressività sia compatibile con la femminilità (più o meno sexy). Aggressività e mitezza possono stare negli uomini come nelle donne. E i ragazzi, pure quelli "mahi" i sentimenti li manifestano se vogliono la questione è come, ci sono tanti modi di esprimere i propri sentimenti (e non facciamo l'errore di pensare che essere sensibili debba dipendere dalla frequenza dei pianti)
mahi = machi
Eliminacerto che un uomo può piangere ma non è dalla quantità d lacrime che si misura la sensibilità
mahi = machi
Eliminacerto che un uomo può piangere ma non facciamo l'errore di misurare la sensibilità dalla quantità di lacrime
In questo articolo si parla di processi di socializzazione alle norme di genere, ossia del modo in cui queste ultime vengono insegnate ed apprese e delle qualità che vengono valorizzate rispettivamente nelle ragazze e nei ragazzi. Atteggiamenti da macho significa atteggiamenti da duro, da persona che nega la paura e non manifesta apertamente tenerezza, dolcezza e altre emozioni di questo genere.
RispondiEliminanon manifestarle apertamente non significa non provarle, e non significa che non si manifestino in privato, tenere certe cose nella dimensione privata questo mi sembra più che legittimo così come è legittimo manifestarle in pubblico (e non è detto che tanti ragazzi anche con aspetto "macho" non lo facciano)
Elimina(e anche gli uomini possono essere sexy)
sulla paura, può capitare davvero di non averla ma ciò che va insegnato è che se un uomo (ma anche una donna) ha paura non deve negarla, ma affrontarla e se possibile superarla..deve accettare di avere paura ma non deve far sì che questo lo blocchi, il coraggio (maschile o femminile che sia) non è negare la paura che si prova ma affrontarla e se possibile dominarla. La codardia invece è quando permettiamo alla paura di dominarci, di bloccarci e non ci assumiamo le nostre responsabilità